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Pubblicazioni Avvocato Davide Gori

Locazioni Commerciali: l’impatto del Covid-19

Il problema

Una delle questioni attualmente dibattute attiene all’incidenza dei provvedimenti governativi di sospensione di molteplici attività commerciali, produttive o di servizi, sugli obblighi di pagamento dei canoni dovuti in virtù di locazione di botteghe ed immobili destinati a tali attività.
Sul punto, l’unico provvedimento che risulta adottato dal Governo è l’art. 65 del d.l. 18/2020, in base al quale è riconosciuto agli esercenti attività d’impresa un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
Tale disposizione non è oggettivamente satisfattiva sia per la sua estrema limitatezza sotto il profilo temporale (il provvedimento, infatti, opera per il canone di marzo 2020), sia perché non si applica a servizi e attività produttive esercitati in immobili rientranti in altre categorie catastali diverse da C/1 (come, ad esempio, quelli con destinazione D, nella quale rientrano i teatri, gli alberghi, gli opifici etc.), sia, infine, perché la semplice
attribuzione di un credito d’imposta (che presuppone, comunque, il pagamento integrale del canone) non appare idonea a risolvere i problemi dei costi che l’imprenditore è tenuto a sopportare senza poter svolgere la propria attività. D’altro canto, si deve considerare che il canone di locazione costituisce, a sua volta, una legittima fonte di reddito per i proprietari degli immobili, sicché qualunque soluzione astrattamente ipotizzabile dovrà tenere conto anche delle esigenze del locatore.

La soluzione

In tale stato di cose, appaiono astrattamente ipotizzabili due percorsi che possono condurre a un componimento dei contrapposti interessi.
Il primo di tali percorsi è quello giurisdizionale, e cioè quello che presuppone una soluzione raggiunta attraverso il ricorso al Giudice; mentre il secondo è la possibilità di una composizione del contrasto mediante il ricorso ad attività stragiudiziali di natura conciliativa e transattiva. Sul punto si deve considerare che, con la stipula di un contratto di locazione, le parti raggiungono un accordo che realizza, mediante la determinazione di un canone il cui importo è concordato tenendo conto delle caratteristiche dell’immobile e delle necessità del conduttore, un contemperamento delle reciproche esigenze: attraverso l’accordo si raggiunge una composizione delle pretese di entrambi i contraenti, che dà luogo ad un equilibrato assetto sinallagmatico delle rispettive prestazioni. Tale equilibrio è profondamente alterato dalla (attuale) situazione d’emergenza, sicché occorre ricercare un meccanismo normativo capace di ricondurre ad equità le reciproche prestazioni. Deve escludersi a priori la riscontrabilità del comportamento colpevole di una delle parti del contratto (ad es. l’addebitabilità al locatore dell’impossibilità di esercitare l’attività economica a causa del mancato adempimento delle proprie obbligazioni
consentirebbe al conduttore di sospendere il pagamento del canone nella intera misura concordata, senza bisogno di ricorrere all’Autorità giudiziaria – art. 1460 c.c. -) poiché l’impossibilità di utilizzare l’immobile a fini commerciali, non deriva da circostanze imputabili al locatore (o al conduttore) ma da provvedimenti amministrativi di portata generale e normativa (dpcm-covid 19), in ordine ai quali non appaiono ipotizzabili
responsabilità di alcun tipo a carico di nessuna delle parti. D’altro canto, è del pari indubitabile che l’adozione dei suddetti provvedimenti amministrativi di sospensione delle attività, dà luogo ad un mutamento del sinallagma contrattuale, che risulta sostanzialmente “squilibrato” in danno del conduttore. È opportuno chiarire immediatamente, che si parla di “squilibrio” del sinallagma e non di totale assenza in quanto, anche in questo caso, una prestazione da parte del locatore è comunque sussistente, atteso che il conduttore rimane nella detenzione dell’immobile, dal quale può comunque trarre una, sia pur ridotta, utilità (sia in vista di una possibile ed anzi auspicabile ripresa dell’attività al momento della cessazione dello stato di emergenza, sia, nell’immediato, per conservare le scorte di magazzino, le attrezzature e gli arredi, sia, infine, per non perdere l’avviamento commerciale già acquisito).

L’impossibilità di addebitare al locatore la responsabilità per la situazione, consente di ritenere applicabile, ai casi oggi in esame, la normativa dettata dall’art. 1464 c.c. in materia di impossibilità parziale della prestazione.
Per tali ipotesi, la norma richiamata consente alla parte che subisce la detta impossibilità di richiedere la riduzione della prestazione da essa dovuta oppure, in alternativa, il recesso dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale. Ora vediamo come tale rimedio (art. 1464 c.c.) possa essere esercitato.
Sul punto sono ipotizzabili tre diverse soluzioni:

a) il conduttore potrebbe inviare una comunicazione formale al locatore dichiarando di volersi avvalere della facoltà di riduzione della propria prestazione in virtù della permanente efficacia dei provvedimenti limitativi dell’attività commerciale o produttiva: in tal caso potrà indicare la minore misura del canone che intende corrispondere e, se il locatore accetta, si potrà ritenere intervenuta una modifica delle originarie pattuizioni relative alla misura del canone, destinata a venire meno (con la conseguente reviviscenza del canone originario) alla cessazione di efficacia delle misure
restrittive;
b) il conduttore potrebbe adire direttamente l’Autorità Giudiziaria al fine di ottenere il riconoscimento della minore possibilità di fruizione  dell’immobile e la conseguente riduzione del canone ai sensi dell’art. 1464 cod. civ.;
c) il conduttore si limita a corrispondere i canoni in una misura ridotta, da egli stesso ritenuta congrua, costringendo il locatore che non intenda accettare tale riduzione ad agire in giudizio al fine di ottenere una sentenza di risoluzione per inadempimento dell’obbligazione di pagamento del canone e, in alternativa ovvero in aggiunta, la condanna del conduttore a corrispondere l’intero canone. In tal caso, il conduttore convenuto potrà opporsi alla risoluzione ed alla domanda di pagamento integrale dei canoni, deducendo l’esistenza della ridotta prestazione del locatore per causa a quest’ultimo non imputabile e chiedendo – oltre al rigetto della domanda – la riduzione del canone.
Esiste anche una quarta “soluzione” che è quella prevista dall’art. 1467 c.c. a termini del quale:
d) la parte contrattuale (in tal caso il conduttore) la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (corona virus), può domandare la risoluzione immediata del contratto. In tal caso la parte contro la quale la risoluzione è domandata (locatore) può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto stesso.

La soluzione “saggia”

Si dice da più parti che questa pandemia ci restituirà un mondo diverso e migliore, nel quale i consociati saranno più attenti ai veri valori della vita, le festività religiose non saranno più una mera occasione di scampagnata fuori porta, e sapremo recuperare la nostra umana essenza.
Se così è, la questione che trattiamo deve trovare soluzione amichevole tra le stesse parti, che sono pienamente consapevoli da un lato delle reciproche difficoltà, dall’altro che la ripresa porterà comunque una flessione nei consumi e nell’economia in generale, per cui il canone oggetto di accordo qualche anno fa non corrisponderà più quello di mercato, ma risulterà inadeguato, per eccesso, alla nuova realtà (non si dimentichi che l’accordo sopra ipotizzato può dare vantaggi al locatore, in termini di risparmio fiscale).

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